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This opera by Daniele Scanferlato is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

mercoledì

Essere adulti non significa non avere mai bisogno di aiuto.

Tutti, quando eravamo piccoli, sognavamo di diventare grandi istantaneamente. Abbiamo provato tutti a “sentirci grandi”, truccando gli occhi a dodici anni, indossando minigonne vertiginose, facendo i bulli in macchina, facendo i gradassi con gli adulti stessi, e magari accendendo una sigaretta un sabato sera, davanti ad un gruppo di ragazzi più grandi di noi. Ci abbiamo provato e non ha funzionato.
Ci abbiamo provato ed abbiamo fatto una gran confusione, esattamente come la stanno facendo i ragazzi oggi, con l’aggravante che in loro è tutto più accentuato: ci siamo preoccupati di essere adulti e ci siamo scordati di crescere. Abbiamo pensato di potere vivere un traguardo, saltandone il percorso: Essere adulti è il traguardo. La crescita è il percorso.
E quando ci si occupa solo del traguardo, il grande rischio è quello di banalizzarlo e renderlo insignificante. essere adulti diventa un semplice “fare gli adulti”, proprio come il bambino che gioca al poliziotto e che per identificarsi con esso può soltanto ripetere dei gesti o usare degli strumenti propri del poliziotto. Così un ragazzo che “fa l’adulto”, non essendolo, può solo ripetere dei gesti, scimmiottare degli atteggiamenti, spesso i più marginali e distorti. Sono falsità che lasciano insoddisfatti, perché rendono tutto precario.
L’emancipazione è una delle forme più mature di manifestazione di responsabilità: l’emancipato ci prova, non si piange addosso, lotta tutti i giorni con la vita, e quando non è più in grado di lottare da solo, chiede aiuto.
Che sia un bambino, un adolescente o un adulto, il chiedere aiuto non è una forma di debolezza, è un rapporto di fiducia che si instaura tra chi ne ha bisogno e chi ne offre.
“Divenendo autonomo ogni individuo capisce che continua ad avere bisogno degli altri”. Non è il diventare adulti che genera l’autonomia, bisogna perseverare, non arrendersi, agire con costanza. E il lavoro in team, in organizzazioni ne è un esempio chiave: l’interdipendenza è fondamentale nei rapporti sociali, il confrontarsi con gli altri, il criticare non solo il lavoro altrui, bensì anche il proprio. L’essere umano è nato dipendente e lo sarà per tutta la vita, anche se egli crede di essere autonomo: il neonato non può vivere senza l’amore e il controllo genitoriale, può solamente piangere per farsi capire; man mano che cresce, capisce che ciò che i genitori facevano prima per lui, può farlo anche da solo, crede di essere diventato autonomo. Ciò non è così poiché anche quando diventerà un adulto non potrà mai essere totalmente indipendente. Ci sarà sempre una persona al suo fianco che gli darà forza e fiducia. Proprio perché l’essere umano è circondato di persone che gli danno fiducia e lo aiutano, anche lui deve ripagarli con la stessa moneta. Tutto ciò avviene inconsapevolmente, poiché l’aiutare gli altri concepisce un senso alla sua esistenza.
“Non esiste il dare senza il ricevere”.
La rappresentazione più significativa della dipendenza umana è data dalla dimostrazione dei due archetipi del potere: quella maschile e quella femminile; quella che distrugge e quella che crea; quella che domina e quella che può; quella che influenza il comportamento degli altri e quella che affronta una situazione. Anche se inconsciamente, l’animale chiamato uomo senza un’altra persona del sesso opposto, non vale nulla. Un individuo in sé è inutile senza qualcuno che lo fronteggia. Citando Platone: “ciascun uomo era tutto intero e rotondo, con il dorso e i fianchi a forma di cerchio; aveva quattro mani e tante gambe quante mani, e due volti su un collo arrotondato del tutto uguali. E aveva un’unica testa per ambedue i visi rivolti in senso opposto, e quattro orecchi e due organi genitali. Questi esseri erano però troppo superbi, così Zeus tagliò gli uomini in due. E per ciascuno di quelli che tagliava, dava incarico ad Apollo di rivoltare la faccia e la metà del collo verso la parte del taglio, in modo che l’uomo, vedendo questo suo taglio, diventasse più mansueto. Allora, dopo che l’originaria natura umana fu divisa in due, ciascuna metà, desiderando fortemente l’altra metà che era sua, tendeva a raggiungerla. E gettandosi attorno le braccia e stringendosi forte l’una all’altra, desideravano fortemente di fondersi insieme. Per questo motivo - diceva Platone - ciascuna metà cerca la metà che è sua. Per tornare ad essere l’Intero, un unico essere. Un essere Perfetto."