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domenica

Eppure

Eppure sono solo parole. Non dovrebbero ferire. Non dovrebbero far male. Balle. Il livido passa, la parola resta. Per sempre. E’ l’arma più potente, quella che ferisce di più. A volte penso che ci sia una sorta di sadismo verso chi sta già male. Ma che senso ha? Giri il coltello nella piaga. Basta. Stop. Sfoghi sfoghi sfoghi. Fa bene sfogarsi. Fa bene parlare. A me ora fa bene scrivere. Se mi chiedono come sto, non so cosa rispondere. “Si dai tutto sommato bene” è la prediletta. Perché poi scatterebbero le classiche domande. E non c’ho voglia di rispondere sempre. Non voglio che questo foglio risponda per me, assolutamente. Forse mi rispondo da solo scrivendo. Forse riuscirò a ritrovare quella pace interiore che ora fa fin troppo rumore. Fin troppo casino. Casino casino casino. E con tutto questo casino non riesco a dormire. Non riesco a rilassarmi. Non riesco, punto. Non si può ritrovare la serenità, ti viene data. La subisci. Puoi cercala, certo, ma sarà sempre lei a venire da te. “Io sto bene qui seduto in riva al fosso”. Ma forse quella che vorrei mi rispecchiasse ora sarebbe “leggero nel vestito migliore nella testa un po' di sole ed in bocca una canzone”. Mi piacerebbe sentirmi leggero in questo momento. Magari seduto in riva a un fosso sotto il sole a cantare. Wow. Che tranquillità, che pace. Ci sei solo tu. Al posto del fosso potremmo metterci un laghetto, e il paesaggio sarebbe più invitante, ma non sarebbe la stessa cosa. Il fosso. Metafora di difetti, disgrazie, errori. Al laghetto ci arriverai più avanti quando avrai rimediato agli errori del fosso. E’ la logica evoluzione del fosso. “Dove passerà la banda col suo suono fuori moda col suo suono un giorno un po' pesante e un giorno invece troppo leggero? Mentre Key si sbatte perché le urla la vena pensi che sei fortunato: ti e' mancato proprio solo un pelo…”. Non mi sento il diritto di sentirmi leggero. Non ora.

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