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This opera by Daniele Scanferlato is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

sabato

Scanferlato DesignScanferlato Design | Italian Graphic Designer

Restyling del mio sito internet, a breve comincerò anche un blog inerente alla grafica, a spunti creativi e a risorse web!
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mercoledì

Essere adulti non significa non avere mai bisogno di aiuto.

Tutti, quando eravamo piccoli, sognavamo di diventare grandi istantaneamente. Abbiamo provato tutti a “sentirci grandi”, truccando gli occhi a dodici anni, indossando minigonne vertiginose, facendo i bulli in macchina, facendo i gradassi con gli adulti stessi, e magari accendendo una sigaretta un sabato sera, davanti ad un gruppo di ragazzi più grandi di noi. Ci abbiamo provato e non ha funzionato.
Ci abbiamo provato ed abbiamo fatto una gran confusione, esattamente come la stanno facendo i ragazzi oggi, con l’aggravante che in loro è tutto più accentuato: ci siamo preoccupati di essere adulti e ci siamo scordati di crescere. Abbiamo pensato di potere vivere un traguardo, saltandone il percorso: Essere adulti è il traguardo. La crescita è il percorso.
E quando ci si occupa solo del traguardo, il grande rischio è quello di banalizzarlo e renderlo insignificante. essere adulti diventa un semplice “fare gli adulti”, proprio come il bambino che gioca al poliziotto e che per identificarsi con esso può soltanto ripetere dei gesti o usare degli strumenti propri del poliziotto. Così un ragazzo che “fa l’adulto”, non essendolo, può solo ripetere dei gesti, scimmiottare degli atteggiamenti, spesso i più marginali e distorti. Sono falsità che lasciano insoddisfatti, perché rendono tutto precario.
L’emancipazione è una delle forme più mature di manifestazione di responsabilità: l’emancipato ci prova, non si piange addosso, lotta tutti i giorni con la vita, e quando non è più in grado di lottare da solo, chiede aiuto.
Che sia un bambino, un adolescente o un adulto, il chiedere aiuto non è una forma di debolezza, è un rapporto di fiducia che si instaura tra chi ne ha bisogno e chi ne offre.
“Divenendo autonomo ogni individuo capisce che continua ad avere bisogno degli altri”. Non è il diventare adulti che genera l’autonomia, bisogna perseverare, non arrendersi, agire con costanza. E il lavoro in team, in organizzazioni ne è un esempio chiave: l’interdipendenza è fondamentale nei rapporti sociali, il confrontarsi con gli altri, il criticare non solo il lavoro altrui, bensì anche il proprio. L’essere umano è nato dipendente e lo sarà per tutta la vita, anche se egli crede di essere autonomo: il neonato non può vivere senza l’amore e il controllo genitoriale, può solamente piangere per farsi capire; man mano che cresce, capisce che ciò che i genitori facevano prima per lui, può farlo anche da solo, crede di essere diventato autonomo. Ciò non è così poiché anche quando diventerà un adulto non potrà mai essere totalmente indipendente. Ci sarà sempre una persona al suo fianco che gli darà forza e fiducia. Proprio perché l’essere umano è circondato di persone che gli danno fiducia e lo aiutano, anche lui deve ripagarli con la stessa moneta. Tutto ciò avviene inconsapevolmente, poiché l’aiutare gli altri concepisce un senso alla sua esistenza.
“Non esiste il dare senza il ricevere”.
La rappresentazione più significativa della dipendenza umana è data dalla dimostrazione dei due archetipi del potere: quella maschile e quella femminile; quella che distrugge e quella che crea; quella che domina e quella che può; quella che influenza il comportamento degli altri e quella che affronta una situazione. Anche se inconsciamente, l’animale chiamato uomo senza un’altra persona del sesso opposto, non vale nulla. Un individuo in sé è inutile senza qualcuno che lo fronteggia. Citando Platone: “ciascun uomo era tutto intero e rotondo, con il dorso e i fianchi a forma di cerchio; aveva quattro mani e tante gambe quante mani, e due volti su un collo arrotondato del tutto uguali. E aveva un’unica testa per ambedue i visi rivolti in senso opposto, e quattro orecchi e due organi genitali. Questi esseri erano però troppo superbi, così Zeus tagliò gli uomini in due. E per ciascuno di quelli che tagliava, dava incarico ad Apollo di rivoltare la faccia e la metà del collo verso la parte del taglio, in modo che l’uomo, vedendo questo suo taglio, diventasse più mansueto. Allora, dopo che l’originaria natura umana fu divisa in due, ciascuna metà, desiderando fortemente l’altra metà che era sua, tendeva a raggiungerla. E gettandosi attorno le braccia e stringendosi forte l’una all’altra, desideravano fortemente di fondersi insieme. Per questo motivo - diceva Platone - ciascuna metà cerca la metà che è sua. Per tornare ad essere l’Intero, un unico essere. Un essere Perfetto."

martedì

Eppure sei sempre qua.

Caro mio fedele amico, è il tuo fedele amico che ti scrive. Ti scrivo perchè non posso parlarti. Non più. Non sapevi la mia lingua, ma sapevi farti capire. Non conoscevi le nostre buone maniere, ma sapevi quando facevi un dispetto. Non potevi sapere che ore fossero, ma sapevi che appena mi alzavo dalla tavola, dovevamo uscire. Non potevi sapere come sarei stato in questo momento, eppure hai tenuto duro fino alla fine. Eri un duro, eri immortale. Non avevi nessuna voglia di andartene. Non avevi nessuna intenzione di lasciarci da soli. Te ne sei andato dignitosamente, con una vita vissuta alla grande. Hai lasciato un grosso buco dentro questa casa. Dentro di me. 17 anni della mia vita vissuta con te al mio fianco. Un'eternità. Sei rimasto al mio fianco nei momenti più importanti. L'inizio della scuola, i primi amori, la laurea, il lavoro. Hai voluto aspettare che finisse questo ciclo. Avevi fiducia in me, sapevi che non avrei tardato. Sapevi che ce l'avresti fatta. E così è stato. 
Ricordo quando quel giorno siamo andati in quell'allevamento talmente sommerso di cagnolini che te quasi annegavi. Ma ho portato a casa te. Che avevi una storia diversa da tutti i tuoi fratellini. Mi sono subito innamorato di quel cucciolo vivace e giocoso. Mi sono subito abituato a quelle ciabatte mangiate e ai palloni bucati. Cosa poteva chiedere di più un ragazzino di 6 anni se non un migliore amico che potesse essere sempre con lui. Ecco cos'avevo trovato. Un compagno di giochi. Crescendo sei diventato anche un prezioso confidente. Quante cose ti ho raccontato. Chissà poi se ti interessavano veramente o se ti facevano comodo le mie coccole.
Adesso quando rientro in casa vedo quel buco prima occupato dalla tua cuccia. Vedo quel vuoto in cucina dove prima c'erano le tue ciotole. Dove ti divertivi a fare i dispetti con l'acqua, così guadagnavi l'attenzione della mamma. Mi è ricapitato di tornare a casa e venire da te per salutarti, per farti due coccole. Ma tu non ci sei. Hai lasciato un vuoto enorme in questa casa, eppure sei sempre qua.
Ora hai diritto al tuo meritato riposo.
Buonanotte Tommy.
Il tuo fedele amico.

lunedì

Perfection


Shoot


Chissà.

Chissà come stai lassù. Chissà se ti diverti. Chissà se mi vedi. Sono passati quasi due anni da quando sei mancato, da quando hai lasciato questa vita per viverne una migliore. Ho subìto il colpo, l'ho assimilato e sono riuscito ad andare avanti. Adesso mi trovo qua a pensarti, a piangere per te. Probabilmente perché sento la tua vicinanza nella lontananza. Forse sei finalmente arrivato in un punto dove puoi vedermi veramente. Dove puoi starmi vicino e camminarmi a fianco. Magari dicendomi quando sto per fare delle stronzate. Magari portandomi sulla giusta strada. Eri un duro, e vederti andare via così non potevo crederci. Avevi tenuto duro fino all'ultimo, hai resistito finché potevi, hai lottato, ci hai creduto. Persino quando non ci credeva più nessuno. Non sono venuto spesso a trovarti e di questo mi pento terribilmente. Quando ti ho visto l'ultima volta non eri più te. Non ti riconoscevo. L'ultimo abbraccio, quello sentito, quello vero, ma troppo corto. Non potevo stringerti, non potevo farmi vedere debole da te, ti saresti arrabbiato sostenendo che stavi bene. Non potevo. Non potendo, dovevo. In vita bisogna fare tutto quello che ci si sente di fare. Rischi di pentirti di qualcosa che non hai fatto. Rischi di vivere nel rimorso. Proteggimi da lassù, tu che puoi.

mercoledì

[cit.]

Mi sta scendendo una lacrima. Come se fosse la fine di un film. Le lacrime scendono sempre alla fine di un film. Dipende dal genere di film. Quelli che toccano il cuore, di quelli parlo io. Ho rispolverato questo bel souvenir un'altra volta. Ha fatto male. Ora lo appoggio lì.” [cit.]

Non è una mia frase ma voglio permettermi di citarla. Perchè questa frase mi ha dato l'input di mettermi a scrivere all'1 suonata di notte. No, non ho sonno. E finchè il polso cammina, facciamo mattina. Quando smetterà di camminare, ci riposeremo. La volta buona che ci potremo riposare. In sottofondo quella playlist che non vuole smettere di suonare. Se fosse un vinile sarebbe consumato. Se fosse una cassetta sarebbe rovinata. Se fosse un cd sarebbe strisciato. Non è nemmeno un mp3. Perchè quella playlist continua a suonare nella testa. E non solo nella mia. Nella testa di chi ascolta. Di chi vuole ascoltare. E di chi la lascia suonare. Non esiste stop, rewind o forward. Forse esiste il pause, ma solamente perchè non vuoi perderti quel frammento di poesia che sta fuggendo velocemente. Non puoi tornare indietro e riascoltarla, devi aspettare il loop. Il continuo loop infinito. Echeggia in quella mente così occupata a pensare ad altro che ti dimentichi di mettere in pausa, di vivere il momento e di farla ripartire.

Dicono che bisogna vivere la vita. Io dico che bisogna viversi la vita, invece. Parliamone. Non bisogna farsi vivere, il protagonista sei tu. Esclusivamente te che dici alla vita come farti vivere. Momento filosofico.

Succede quando ti capita qualcosa di inaspettato. Quando ti vengono date delle parole che da sole valgono poco, ma che messe assieme hanno un valore enorme. Quando qualcuno dice alla vita come farti vivere. L'input. Dato da quel fratellino che non hai mai avuto. Ma che hai sempre riconosciuto come tale. Non di sangue, ma di esperienze. Di souvenir.

domenica

L'ora d'aria.

Le storie d'amore non sono altro che l'ora d'aria del carcerato. Tutti hanno bisogno della propria ora d'aria. Ci serve per respirare. Tutti hanno bisogno di una storia d'amore, che sia essa vera o meno. Ci aiuta, ci rafforza, ci consola. A volte serve solo per non sentirsi soli. Altre volte può essere un rimpiazzo. Altre volte ancora può essere vero amore. Non possiamo stabilire noi che tipo di amore stiamo vivendo, abbiamo vissuto o vogliamo vivere. L'amore ci viene dato, come l'ora d'aria del carcere. Non decidi te quando è l'ora di uscire a prendere aria. Non decidi te quando innamorarti. Alcune persone credono che innamorarsi di una persona significhi amarla. Non è proprio così. Per amare una persona certamente bisogna esserne innamorati, ma non necessariamente se si è innamorati si deve amare. L'innamoramento scatta da una forte intesa, dall'interessamento, dalla comprensione. L'amore scatta quando intercorre l'empatia. Quando due persone vivono una stessa vita, quando respirano la stessa aria, quando sentono un solo cuore. Questo è amore.

giovedì

Momenti.

Il numero di respiri che fate nella vita sono irrilevanti. Quello che conta sono i momenti che il respiro ve lo tolgono.

Sarà questo il titolo di questa pagina. Cercano tutti di vivere il momento e cercare di ricordarli tutti. Io credo che bisogna valutare quali sono gli attimi che veramente vale la pena di ricordare. Perché se poi vuoi ricercarlo, non lo trovi più. Gli altri attimi lo sovrastano. Bisognerebbe ricordare quel fuoco che arde in quell'attimo. Tanto poi resta la cenere da quel fuoco. E' naturale, i fuochi si spengono, le ceneri restano.

martedì

Se solo.

Se solo avessi le parole, te lo direi, anche se mi farebbe male, se io sapessi cosa dire, io lo farei, lo farei lo sai. Se lo potessi immaginare, dipingerei il sogno di poterti amare. Se io sapessi come fare ti scriverei. Una canzone d’amore. Per farmi ricordare. Per farti addormentare.

Sento i ricordi. Li vivo. O meglio, sono loro che vivono me. Mi cercano, mi trovano e poi mi stanno addosso, non mi lasciano più. I ricordi mi amano. Cerco di lasciarli perdere, cerco di liberarmene. Invano. Ti condizionano, ti portano via con sé, vogliono averti. Perché l’uomo continua inesorabilmente a guardare il passato? Perché l’uomo vive di passato. Ne ha bisogno. L’uomo ha paura del futuro, per questo usa il passato come nascondiglio. E’ quel posto che ognuno ricerca per ritirarsi in se stesso, per liberarsi per qualche momento di quel peso che lo affligge. E’ una continua fuga da quello che non sa. Quel che è stato, è stato. Ormai sai com’è. L’esperienza aiuta. Quanta saggezza in questa semplice frase. Ricordi. Mi invadono. Mi tormentano. Ma non infastidiscono. Quei posti, quelle parole. Quei posti. Troppi. Si, sono troppi per non riviverli ancora una volta. Con gli occhi di oggi, ma lo sguardo di ieri. Quello sguardo ancora una volta ingenuo, perso tra le pagine di un libro ancora vuoto. L’unico scrittore del tuo libro, sei tu. Te puoi scegliere i protagonisti, a volte anche la trama. Quello che ancora non sai è come andrà a finire. Ne inizi uno, magari lo finisci. Lo sfogli, lo chiudi. Poi lo riapri di nuovo e lo sfogli un’altra volta. Riguardi indietro. Ti giri. Ricerchi i protagonisti. Ma non ci sono più. Hai chiuso quel libro, ne hai iniziato un altro. Forse ho capito lo scopo della vita. Riuscire a scrivere un libro fino alla fine.

domenica

Eppure

Eppure sono solo parole. Non dovrebbero ferire. Non dovrebbero far male. Balle. Il livido passa, la parola resta. Per sempre. E’ l’arma più potente, quella che ferisce di più. A volte penso che ci sia una sorta di sadismo verso chi sta già male. Ma che senso ha? Giri il coltello nella piaga. Basta. Stop. Sfoghi sfoghi sfoghi. Fa bene sfogarsi. Fa bene parlare. A me ora fa bene scrivere. Se mi chiedono come sto, non so cosa rispondere. “Si dai tutto sommato bene” è la prediletta. Perché poi scatterebbero le classiche domande. E non c’ho voglia di rispondere sempre. Non voglio che questo foglio risponda per me, assolutamente. Forse mi rispondo da solo scrivendo. Forse riuscirò a ritrovare quella pace interiore che ora fa fin troppo rumore. Fin troppo casino. Casino casino casino. E con tutto questo casino non riesco a dormire. Non riesco a rilassarmi. Non riesco, punto. Non si può ritrovare la serenità, ti viene data. La subisci. Puoi cercala, certo, ma sarà sempre lei a venire da te. “Io sto bene qui seduto in riva al fosso”. Ma forse quella che vorrei mi rispecchiasse ora sarebbe “leggero nel vestito migliore nella testa un po' di sole ed in bocca una canzone”. Mi piacerebbe sentirmi leggero in questo momento. Magari seduto in riva a un fosso sotto il sole a cantare. Wow. Che tranquillità, che pace. Ci sei solo tu. Al posto del fosso potremmo metterci un laghetto, e il paesaggio sarebbe più invitante, ma non sarebbe la stessa cosa. Il fosso. Metafora di difetti, disgrazie, errori. Al laghetto ci arriverai più avanti quando avrai rimediato agli errori del fosso. E’ la logica evoluzione del fosso. “Dove passerà la banda col suo suono fuori moda col suo suono un giorno un po' pesante e un giorno invece troppo leggero? Mentre Key si sbatte perché le urla la vena pensi che sei fortunato: ti e' mancato proprio solo un pelo…”. Non mi sento il diritto di sentirmi leggero. Non ora.

venerdì

Frammenti

"Il presente non è che un frammento di tempo che inevitabilmente fugge nel passato con la parola". Non sto poco bene. E’ venuta così…a caso. Anche se niente è dato al caso. Non sono un filosofo, non fumo erba. Non più. Eppure vedendo svanire il fumo di quella sigaretta, pensando al periodo di merda che sto passando, pensando a me stesso, è nata questa frase. Potrei metterla come citazione preferita nei network. Però non sono nessuno e gli unici commenti sarebbero “ma chi cazz’è sto qua?”. Sono sboccato, sono volgare. Mica sempre però, so essere anche gentile ed educato. Carino e coccoloso. “Ragazzi, voi due riuscireste a vendere anche una ciofeca”. La citazione che preferisco. La frase che mi ha fatto più effetto. Ma non devo illudermi, non lo farò. Sono ancora uno sbarbato, devo crescere, voglio crescere. E ce la farò. Lo prometto. A me stesso. Non agli altri, non me ne frega più nulla degli altri. E gli amici? Me li scelgo bene ora. Ci sono quelli che ti stanno vicino quando ne hai bisogno, e quelli che ti voltano le spalle, ti sputano dietro. I veri amici li riconosci. Possono essere quelli d’infanzia, con i quali andavi in bici in ordine d’età, con i quali andavi a giocare al campetto vicino casa, con i quali andavi a prendere un gelato le sere d’estate. Quei bambini ora sono cresciuti, eppure quel gelato lo prendi comunque, le partite al campetto le fai comunque, i giri in bici…beh no quelli non più. Da quando ho una macchina sotto il culo non uso più la bici. Anche se l’ho riscoperta ultimamente. Peccato. Ricordi ricordi ricordi. Mi piacerebbe tornare a quell’età, non avere pensieri per la testa, pensare solo a giocare e a far dannare la mamma. Poi ci sono gli amici della post adolescenza. Quelli con cui vai a prenderti uno spritz, una birretta, un prosecchino. Quelli con cui ti fai partite a pes sino a notte fonda, tornando a casa con due occhi da paura. Panico paura. Poi ci sono quelli con cui fai il coglione, ma con cui riesci a fare discorsi che nemmeno te pensavi di poter fare mai. Di quelli profondi, che toccano. Ecco, sono questi gli amici che voglio io. E che non voglio perdere mai. Le donne passano, gli amici restano. Quelli veri. Tanti discorsi, tutti diversi. Epoche diverse. Argomenti diversi. Tutto diverso. Eppure è quello che sto pensando ora. Non scrivo per la cronaca, non scrivo per i commenti e non scrivo per le critiche. Scrivo per me stesso. Ho ripreso in mano un diario troppo vecchio per potermi ricordare le parole usate in esso. Era quell’estate del 2006 Marina di Venezia. Cameriere. Mai più. Però mamma mia che figata. E’ quell’anno che ho cominciato a scrivere qualcosina. Per caso. Vedendo il mio amico, coinquilino e collega sorridere quando rileggeva il suo diario. Ricordava. Volevo ricordare anche io, immaginare la faccia che avrei fatto rileggendo quelle pagine. Fa bene scrivere, ti aiuta a sfogarti. Ricordi ricordi ricordi. Ultimamente mi faccio parecchie domande. Le più accreditate sono: “ma perché?”, “che cazzo mi succede?”, “cosa faccio?”. Ma quella che preferisco è “quando cazzo finiscono questi esami?”. Alle persone che mi domandano se mi piace quello che faccio, se mi piace fare il grafico, io gli rispondo: “è un mondo di merda, ma lo adoro”. Adoro quello che faccio. Mi piace davvero. Ha i suoi pro e i suoi contro, ma nell’insieme riesco a gestire il tutto. Per ora. Speriamo di continuare così. Ma se riesco a vendere anche una ciofeca, cosa vuoi che sia dare sette esami in un mese? Errore, riusciamo a vendere una ciofeca, io da solo non ci riuscirei. Io da solo non saprei fare nulla. O almeno credo. Forse solo in parte. Un quarto di ciofeca. Il resto è solo merito Suo. Lui. Colui che mi ha cresciuto. Colui che mi ha portato alla convinzione di poter diventare qualcuno. Non voglio citarlo, non sarebbe giusto. E’ coperto dai diritti Creative Commons.
Non so se è soltanto fantasia o se è solo una follia, quella stella lontana laggiù però io la seguo e anche se so che non la raggiungerò potrò dire ci sono anch’io. Chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te. E so che non è una fantasia, non è stata una follia, quella stella, la vedi anche tu, perciò io la seguo e adesso so che io la raggiungerò perché al mondo ci sono anch’io.
Grazie anche a te Max.

martedì

Dove sta la felicità

Dove sta la felicità? Si riesce ad essere realmente felici? Perché quando riusciamo a raggiungere un traguardo, risolvere un problema o ottenere ciò che cercavamo sbucano fuori altri problemi, bisogni, sogni da realizzare? Allora la felicità che raggiungiamo è solo momentanea, è solo una frazione di vita che ci illude. Ci illude di aver risolto un problema. Ci illude di aver raggiunto un traguardo perché ne troviamo subito tanti altri. La felicità ci illude.

Dovrei avere il cuore in pace allora, ho trovato una soluzione, non illudermi. Ma è più forte di me. Sarebbe come chiedere ad un uccellino di non provare mai a volare.

La vita ti viene data alla nascita, non la ricerchi te, non te la scegli, non puoi decidere che tipo di vita avere, te puoi soltanto crearti dei problemi in questa vita, e risolverli man mano che te li crei. La vita è una continua decisione, è un bivio infinito. Te devi solo scegliere quale strada prendere. Il Liga direbbe “Sempre sulla mia strada”, che sia da solo o meno, sono io che faccio le mie scelte, e io devo assumerne le responsabilità. Luciano Ligabue (Correggio, 13 marzo 1960) è stato molto importante per me, per la mia vita, o meglio, le sue canzoni sono state importanti. Posso dire che riesco ad immedesimarmi in quasi tutte le sue canzoni. Liga non mi accompagna da molto, ho cominciato ad ascoltarlo grazie a degli amici all’età di 14 anni, e non mi ha più abbandonato. Mi dà la forza, mi fa piangere, mi fa ricordare, mi fa sentire la mancanza di qualcosa. Già, perché sento che mi manca sempre qualcosa. Dentro di me c’è un buco ancora da riempire. E non so dove cercare questa mancanza. Forse ero riuscito a riempirlo, e poi si è svuotato nuovamente. Forse non l’ho mai riempito e sono ancora alla ricerca di quel qualcosa. Quel qualcosa che mi renderebbe felice. “I Duri hanno due Cuori”. Valuta sempre quale usare dei due. Cerca sempre di dare un po’ di energie sia all’uno che all’altro. Non regalarli, tienili per te. Dalli in prestito ma poi fatteli tornare. Ne hai bisogno. Di entrambi.

Non voglio fare il moralista. Io scrivo per sfogarmi. Anzi, veramente è la prima volta che scrivo in questo modo, ma sento il bisogno di farlo. Per ricordare. Esatto, ricordare come mi sento ora, non fare gli stessi errori che mi affliggono in questo momento. Dove vado? Cosa faccio? Ma soprattutto, perché? “C’è una linea sottile tra aspettare e scoppiare, cosa pensi di fare, da che parte vuoi stare”. Non puoi tenerti sempre tutto dentro, rischieresti di scoppiare, ma devi stare attento a quello che dici, allo stesso tempo devi deciderti e capirti in fretta, perché il treno passa una volta sola. Il rischio è quello di non poter più rivedere quella città che tanto hai desiderato vedere.

Attento ai ricordi. Ti fottono. Ti inducono a prendere quel treno, perché quella città ti era piaciuta, perché ne eri affascinato e ti eri innamorato. Il passato è passato, pensa al futuro, non al passato. Tantomeno al presente. Il presente non esiste. Non è che un attimo che fugge nel momento stesso in cui ci pensi. Sarebbe bello pensare di valorizzare ogni frangente di presente, rendendo unico il futuro. Sarebbe bello. Sarebbe. Fai le tue scelte in modo da valorizzare quell’attimo di presente che ti si para davanti. Il passato può essere stato bello, ma ormai che ci vuoi fare.

Ma il presente, l’unico tempo

Questo istante, questo momento

Il presente, sta succedendo

Va goduto, gustato, annusato, mangiato

Max Pezzali. Un altro che ha contribuito a farmi crescere. Mi riporta indietro nel tempo. Io ci sono cresciuto con Max. “Voglio farti innamorare tanto voglio diventare il tuo supereroe voglio essere il migliore al mondo almeno per noi due”. Sono fatto così, voglio sempre dare il possibile, voglio sempre donare il mio cuore.

Penso penso penso. E più penso, più sto male. E penso che sto male. Angoscia. Ma è giusto così? Si, me la sono cercata io. Ti aggrappi agli amici, l’unica sicurezza che hai. Ti aggrappi alla musica. Fuggi dalla droga, dall’alcool. Fuggi dai ricordi. Vorresti fuggire dalla realtà, ma purtroppo è sempre lì, e si manifesta a te inaspettatamente. Creando una sorta di stupore, timore, ansia. E poi te la trovi là, davanti a te. Fermi entrambi. Non sai cosa fare, non escono parole. Il tremolio delle tua gambe ti accompagna. Il passato con lei ti scorre davanti. Non parli perché sei troppo concentrato a rivedere tutti quei frames che inevitabilmente ti scorrono davanti agli occhi. Provi a dirle qualcosa, ma non ci riesci. Sai che vorrebbe provarci lei a dire qualcosa, ma si limita ai finti sorrisi per le battute degli amici. Volevi vederla. Oppure no? Lo facevi credere. Ma ne sei sicuro? Se ne sei così sicuro perché non riesci a dire nulla? Eppure non è difficile parlare, te sei dialetticamente dotato Daniele, cazzo! Eppure nulla. Solo dopo un po’ di tempo riuscite a spiattellare qualcosa. Come stai? A casa tutto bene? Poi di nuovo nulla. Non vuoi dire niente, non vuoi sapere che sta di nuovo male. Per colpa tua. Ora che è rinata non puoi ucciderla di nuovo. Hai fatto un grosso errore, non dovevi farlo, non dovevi venire, non dovevi parlarle. Mi hai deluso profondamente. Eppure chi sono gli altri per dire quello che devo fare io? Sono responsabile delle mie azioni. Appunto perché sono MIE. Ecco, la gente che si mette in mezzo. Odio. Non è proprio odio, è una parola troppo dura, direi fastidio. Ma un po’ di più di fastidio. Io so tutto, non serve che mi si dica nulla dei fatti. Mi informo da solo. Soprattutto le cose ovvie. Non osare. Non a me. Ma anche se non fosse a me, si chiama rispetto. Fa male ad entrambi. Ma non lo capiscono. Dovremo portarci questo peso sulle spalle per tanto tempo, chissà, forse per sempre. Non li vedi i suoi occhi? Sono stupendi. Eppure lacrimano. Ora sono rossi, ha pianto tutta la notte. Guardala stronzo, guardala. La vedo, la sento. Non serve dire nulla. Si chiama simbiosi. Senza che tu mi dicessi tutto questo sapevo già tutto. Minchia ma sono un mago. Già. Guarda un po’ te. Riesco a cavarmela da solo. Mi ritengo autosufficiente. Magari non in questo momento, ma me la caverò. “E zanzare a vampiri che la succhiano lì, se lo pompano in pancia un bel sangue così. Buonanotte all’Italia, che si fa o si muore o si passa la notte a volerla comprare”. Grazie Liga.