Tutti, quando eravamo piccoli, sognavamo di
diventare grandi istantaneamente. Abbiamo
provato tutti a “sentirci grandi”, truccando gli occhi a dodici anni,
indossando minigonne vertiginose, facendo i bulli in macchina, facendo i
gradassi con gli adulti stessi, e magari accendendo una sigaretta un sabato
sera, davanti ad un gruppo di ragazzi più grandi di noi. Ci abbiamo provato e
non ha funzionato.
Ci abbiamo provato ed abbiamo fatto
una gran confusione, esattamente come la stanno facendo i ragazzi oggi, con
l’aggravante che in loro è tutto più accentuato: ci siamo preoccupati di essere
adulti e ci siamo scordati di crescere. Abbiamo pensato di potere vivere un
traguardo, saltandone il percorso: Essere adulti è il traguardo. La crescita è
il percorso.
E quando ci si occupa solo del
traguardo, il grande rischio è quello di banalizzarlo e renderlo
insignificante. essere adulti diventa un semplice “fare gli adulti”, proprio
come il bambino che gioca al poliziotto e che per identificarsi con esso può
soltanto ripetere dei gesti o usare degli strumenti propri del poliziotto. Così
un ragazzo che “fa l’adulto”, non essendolo, può solo ripetere dei gesti,
scimmiottare degli atteggiamenti, spesso i più marginali e distorti. Sono
falsità che lasciano insoddisfatti, perché rendono tutto precario.
L’emancipazione è una delle forme
più mature di manifestazione di responsabilità: l’emancipato ci prova, non si
piange addosso, lotta tutti i giorni con la vita, e quando non è più in grado
di lottare da solo, chiede aiuto.
Che sia un bambino, un adolescente o
un adulto, il chiedere aiuto non è una forma di debolezza, è un rapporto di
fiducia che si instaura tra chi ne ha bisogno e chi ne offre.
“Divenendo autonomo ogni individuo
capisce che continua ad avere bisogno degli altri”. Non è il diventare adulti
che genera l’autonomia, bisogna perseverare, non arrendersi, agire con
costanza. E il lavoro in team, in organizzazioni ne è un esempio chiave:
l’interdipendenza è fondamentale nei rapporti sociali, il confrontarsi con gli
altri, il criticare non solo il lavoro altrui, bensì anche il proprio. L’essere
umano è nato dipendente e lo sarà per tutta la vita, anche se egli crede di
essere autonomo: il neonato non può vivere senza l’amore e il controllo
genitoriale, può solamente piangere per farsi capire; man mano che cresce,
capisce che ciò che i genitori facevano prima per lui, può farlo anche da solo,
crede di essere diventato autonomo. Ciò non è così poiché anche quando
diventerà un adulto non potrà mai essere totalmente indipendente. Ci sarà
sempre una persona al suo fianco che gli darà forza e fiducia. Proprio perché
l’essere umano è circondato di persone che gli danno fiducia e lo aiutano,
anche lui deve ripagarli con la stessa moneta. Tutto ciò avviene
inconsapevolmente, poiché l’aiutare gli altri concepisce un senso alla sua
esistenza.
“Non esiste il dare senza il
ricevere”.
La rappresentazione
più significativa della dipendenza umana è data dalla dimostrazione dei due
archetipi del potere: quella maschile e quella femminile; quella che distrugge
e quella che crea; quella che domina e quella che può; quella che influenza il
comportamento degli altri e quella che affronta una situazione. Anche se
inconsciamente, l’animale chiamato uomo senza un’altra persona del sesso
opposto, non vale nulla. Un individuo in sé è inutile senza qualcuno che lo
fronteggia. Citando Platone: “ciascun uomo era tutto intero e rotondo, con il
dorso e i fianchi a forma di cerchio; aveva quattro mani e tante gambe quante
mani, e due volti su un collo arrotondato del tutto uguali. E aveva un’unica
testa per ambedue i visi rivolti in senso opposto, e quattro orecchi e due
organi genitali. Questi esseri erano però troppo superbi, così Zeus tagliò gli
uomini in due. E per ciascuno di quelli che tagliava, dava incarico ad Apollo
di rivoltare la faccia e la metà del collo verso la parte del taglio, in modo
che l’uomo, vedendo questo suo taglio, diventasse più mansueto. Allora, dopo
che l’originaria natura umana fu divisa in due, ciascuna metà, desiderando
fortemente l’altra metà che era sua, tendeva a raggiungerla. E gettandosi
attorno le braccia e stringendosi forte l’una all’altra, desideravano fortemente
di fondersi insieme. Per questo motivo - diceva Platone - ciascuna metà cerca
la metà che è sua. Per tornare ad essere l’Intero, un unico essere. Un essere
Perfetto."